Angela Ambrosini
Nationality: 159
Email: angelambrosini@libero.it
Nationality: 159
Email: angelambrosini@libero.it
Angela Ambrosini
Angela Ambrosini vive a Città di Castello (Perugia) e insegna spagnolo al Liceo Linguistico di Sansepolcro (Arezzo). Poetessa, scrittrice, traduttrice e critico letterario con collaborazioni per alcune case editrici e riviste, ha conseguito il Master in Traduzione Letteraria presso l’Università di Siena e si dedica a tradurre in lingua spagnola anche liriche di propria produzione. Insignita a Parigi nel 2015 del “Premio World Literary Prize alla Cultura”, è vincitrice e finalista in oltre trecento concorsi di poesia e narrativa e risulta inserita in vari studi critici e antologici di letteratura italiana contemporanea. Nel 2012 ha presentato a Sansepolcro su incarico di Alessandro Quasimodo l’opera di Maria Cumani e Salvatore Quasimodo Il fuoco tra e dita, recensione recentemente inserita nel sito www.italian-poetry.org. Ha pubblicato le sillogi di poesie Silentes anni, Tracce, 2006, Fragori di rotte, Tracce, 2008 (vincitrice del Concorso “Scriveredonna” 2007 presieduto da M. L. Spaziani), Controcanto (vincitrice del Premio “Città di Castello” e pubblicata da Edimond nel 2012 con prefazione di A. Quasimodo) e Ora che è tempo di sosta, C. T. L. Editore, 2017, prefazione di Ninnj di Stefano Busà, presentata da Carmelo Consoli nel 2017 a Firenze presso la storica “Camerata dei Poeti” e recensita da Nazario Pardini nel blog letterario “Alla volta di Leucade”. Recensione dello stesso Consoli è presente sia in www.literary.it che nel sito www.lacameratadeipoeti.weebly.com. Del 2007 è l’opera prima di racconti Semi di senape, MEF e, a sostegno della Onlus “Le fatiche di Ercole”, ha pubblicato i racconti Storie dall’ombra, 2011 nonché realizzato agende, calendari ed eventi con poesie a commento di immagini di vari artisti italiani contemporanei e in YouTube sono presenti videopoesie create dal video maker Fabio Sercia su alcune sue liriche.
Realizza readings e incontri letterari, ultimo dei quali il 26 ottobre 2019 a Firenze presso la Società Belle Arti e Circolo Artisti “Casa di Dante” con la partecipazione di Carmelo Consoli. Alcune sue poesie figurano con traduzione in russo nella rivista russa “Glagol” 2018. In occasione delle celebrazioni istituzionali della “Giornata del Ricordo”, dall’anno 2015 a quello in corso, è stato messo in scena dalla Compagnia Teatrale Medem di Città di Castello, sia in Umbria che ad Arezzo, il monologo teatrale Memorie dal sottosuolo con lettura drammatizzata del monologo narrativo Esilio. Entrambe le opere, con alcune poesie a tema, sono confluite nella plaquette Memento (Edizioni Vitale, 2018). Profilo letterario presente nei siti www.linkedin.com e www.literary.it (dove sono elencati il palmarès dei riconoscimenti nonché articoli e recensioni rese). Pagina facebook angela ambrosini autrice.
Immota ruggine
Immota ruggine annaspa nell’indaco
gonfio di giugno, là, dalla finestra
la vedi, carcassa d’auto a svellere erbe
e fiori di campo che serica
nuvola pigra sorvola.
E intorno è garrire di grano
e note d’uccelli che scansa
il vento in sordina scrutando
orizzonti da trafiggere prima di sera.
È il gioco di sempre: rincorsa l’orma,
d’infinito il finito si colma.
Ma non per noi.
S’addossa ai vetri la vita,
ai vetri di questa finestra di casa
per vecchi, residence oggi si chiama,
troppo greve è qualche parola.
Dentro, carezza di giugno fluisce
da tavolo a tavolo, da camice a camice,
bianche teste imperlando
senza nuove stagioni.
Inchiodato è il tempo in questa
teca di vite vissute, taciute,
impigliate tra le spine
di tante passioni che pasqua
implorano strozzando paure
e gioie incolori.
Immota ruggine annaspa nell’indaco
gonfio di giugno, qua dentro,
qui, al di qua di questa finestra
la vedi, tu, che passeggi là fuori
di luce rapito, incredulo che di vita
si possa piano
morire.
Tempus manet
Tutto quello che resta della mia vita
è il tempo. Tempo che ramifica nel
tempo, insemina la carne,
infuria negli ipogei della mente,
gli stessi che il giorno lenisce
d’inganni quieti e certi, certi
come la vita che è trascorsa,
come la vita che trascorre.
È il tempo stagione dell’animo
perpetua, nell’effimero gorgo di
azioni e mutamenti, di incontri
e di addii, nostra terra di riporto
a stemperarne le orme salde
e aspre d’infaticabile destriero.
Ma nel volo dei giorni non fugge
né allenta la presa:
sta, spia, insidia, come radice
che da crepacci di abissi aerea rinserri
in fulmineo cappio il piede.
E noi qui, indumenti del destino,
un cambio dopo l’altro a propiziare
nuove finzioni e nuovi clamori
mentre inenarrabile, colpo a colpo,
dai sagrati del cielo,
tempus manet.
Canto a un esule
Siediti più in là, nell’ora che inclina
contro i fuochi del cuore e del ricordo
e infradicia d’infiniti echi attese,
dolori e inganni dal vano vento
della vita disciolti al tuo orizzonte
tra quelle terre e quei due cieli teso.
Siediti, ora che è tempo di sosta
e scende canto di stelle in quest’aria
senza più confini né storia, e chiaro,
più chiaro ancora è lo sguardo del mare.
Siediti più in là, sotto quell’albero
che non c’è più e saldo riparo offriva
alle tue corse a piedi scalzi a riva.
Ascolta, tra le alghe e il falasco è l’urlo
lento del gabbiano e ritorna il tempo
del mito, lieto s’avanza alla mente
e al tuo corpo ormai troppo stanchi: siedi,
siediti più in là e aspettami, padre.
A mia madre
E d’improvviso ancora
queste ore chiare incide lo stupore oscuro
della tua assenza, della tua presenza
che lontane rotte ha decifrato
al lume dell’eterno
e declivi e alberi accigliati
ha lasciato per non più tornare,
per non più soffrire.
Eccomi, non ti dimentico,
rimani in ascolto se puoi,
se il tuo non tempo che soverchia
il tempo nostro ti consente
udito e vista o quel che resta:
parlami, dimmi di te, del tuo sonno greve,
del mio sogno lieve,
dell’acre rimpianto che come stormo
dal mio cuore migra per quel Dio
che di te ha fatto preda,
benché d’amore.
Senti: ombrosa pioggia miete ricordi
oltre questo lembo d’agosto,
di te sazio fino a patire.
A tratti il tuo volto trema
e s’affaccia urlo di vento,
da riva a riva, da cielo a cielo,
ma più non trasporta voce
né profumo di te m’assale,
di te che morte adorna ancora.
Nel vortice
Ingemmano note nell’estuario libero
del tempo e affondano lame
di ricordi, passi d’addio e tenui
silenzi.
È nel dedalo di gesti e sfioramenti,
di sguardi sospesi a quel desiderio d’inviolati
altrove e d’un’età sempre uguale,
mai perduta, ostinata preda
d’un gioco cangiante, d’un cangiante pensiero
fattosi corpo.
Oasi di materia non franta
dipana il duro orizzonte
del marciapiede, del vicolo,
del vizio e il tango è lì,
in agguato, nel vortice erratico
di lontananze e filamenti
di sogni.
En el remolino
Brotan notas en la desembocadura libre
del tiempo y hunden navajas
de recuerdos, pasos de despedida y tenues
silencios.
Es en el dédalo de gestos y roces,
de miradas colgadas a aquel deseo de inviolados
otros lugares y de una edad siempre igual,
nunca perdida, obstinada presa
de un juego tornasolado, de un tornasolado pensamiento
hecho cuerpo.
Remanso de materia no quebrada
desenreda el duro horizonte
de la acera, del callejón,
del vicio y el tango allí está,
al acecho, en el remolino errático
de lejanías y filamentos
de ensueños.