Lorenzo Spurio
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Lorenzo Spurio
Lorenzo Spurio (Jesi, 1985), poeta, scrittore e critico letterario. Per la poesia ha pubblicato Neoplasie civili (2014), Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell’assenza per Federico García Lorca (2016) e Pareidolia (2018). Ha curato antologie poetiche tra cui Convivio in versi. Mappatura democratica della poesia marchigiana (2016) e Sicilia: viaggio in versi (2019). Per la narrativa ha pubblicato tre raccolte di racconti brevi: La cucina arancione (2012), L'opossum nell'armadio (2015) e Le due valigie e altri racconti (2018). Intensa la sua attività quale critico con la pubblicazione di saggi in rivista e volume, approfondimenti, prevalentemente sulla letteratura straniera tra cui le monografie su Ian McEwan (sul quale ha discusso la laurea magistrale il Lingue e Letterature Moderne Comparate all'Università degli Studi di Perugia nel 2012) e il volume Cattivi dentro: dominazione, violenza e deviazione in alcune opere scelte della letteratura straniera (2018). Si è dedicato anche allo studio della poesia della sua regione pubblicando Scritti marchigiani (2017) e La nuova poesia marchigiana (2019). Gestisce il gruppo Facebook “Poeti marchigiani”. Tra i suoi principali interessi figura il poeta e drammaturgo spagnolo Federico García Lorca al quale ha dedicato un ampio saggio sulla sua opera teatrale, tutt’ora inedito e tiene incontri tematici. Socio Corrispondente dell'Accademia Cosentina, Socio Onorario dell'Accademia Regionale dei Poeti Siciliani “Federico II” di Marsala e dell'Associazione Siciliana Arte e Scienza (ASAS) di Messina, è Presidente dell’Associazione Culturale Euterpe di Jesi, fondata a marzo 2016, e Presidente di Giuria in vari concorsi di poesia, tra cui il Concorso di Poesia “Città di Porto Recanati – Premio Speciale Renato Pigliacampo”, il Premio Letterario “Città di Chieti” e il Premio Letterario Internazionale “Antonia Pozzi – Per troppa vita che ho nel sangue” di Pasturo (LC); ha ideato e presiede il Premio Nazionale di Poesia “L'arte in versi” che ha sede a Jesi, giunto nel 2020 alla nona edizione. Ha vinto vari numerosi premi letterari sia per la poesia che per la saggistica, tra i quali il Premio Letterario “Casentino” per la saggistica, i Premi “Tulliola” e “Rosse pergamene” di Roma, “Città di Latina”, “Morgantina” di Palermo, “Mario Arpea” di Rocca di Mezzo (AQ), “Città di Ancona”, “Giovanna Ceciliani” di Senigallia (AN) ed è stato più volte finalista, con opere diverse, al Premio Camaiore. Su di lui si sono espressi, tra gli altri, Giorgio Bàrberi Squarotti, Dante Maffia, Corrado Calabrò, Ugo Piscopo, Nazario Pardini, Antonio Spagnuolo e Sandro Gros-Pietro.
Il fiore giallo [1]
Nel caos roboante
di giornate squallide e ripetitive
mi son estraniato da tutto e
qualcosa è successo.
Una vecchia attraversava la strada
insuperbita, calata in una pelliccia
che pensai essere vera
muovendosi come un manichino dinoccolato.
I piccioni con la loro atavica fame
beccavano pezzi di gomme da masticare
sicuri di riempire i loro stomachi,
inconsapevoli del pericolo.
Di colpo mi son chinato a terra
e al margine di un marciapiede
ho colto un fiore giallo
cresciuto lì, forse per sbaglio.
L’ho messo all’occhiello della giacca
e l’ho portato con me.
In metro una bambino mi ha squadrato
sconcertato e mi ha preso in giro.
Ho odorato ancora il fiore
accorgendomi che esalava tristezza
e bisogno d’amore.
Colloquio
Ho guardato la terra e
le ho chiesto dove andasse
usando un linguaggio di vergogna
per ammazzare noiosi secondi.
Un riverbero,
il leggero frusciare
e un clacson smorzato
dall’aere di Maggio.
Nessuna risposta,
Lei era ferma e imperturbata
mi guardava crostosa con orgoglio
e una velata sufficienza:
non avrebbe mai temuto niente,
perché essa era l’unicum di tutto.
Allora scrutai il cielo,
ma un raggio m’accecò.
Sotto un salice frondoso,
guardai lo stesso cielo
e stavolta mi disse di guardare la terra.
Un viavai di insetti camminava ordinato
e con dignità verso una sorta di tana;
un grillo frignava
e le foglie cinguettavano.
M’inginocchiai e baciai la terra
chiedendole scusa;
impastai terriccio a saliva
e nel mentre dall’alto
una pioggia acuminata
m’infilzò dappertutto
e mi rigenerò.
Poco più in là, Atropo
scorciava fili senza pietà
e stanca
si reggeva ad un fuso
impolverato.
L’aiuto non dato (Maidan)
Rivoluzioni di provincia,
neglette reclusioni in
domini di regimi canaglia,
come sempre intimidiscono le stelle.
I comunitari se ne fregavano
beffando se stessi
In pensieri di fiamma,
spenti ed evacuati.
Cocci taglienti e scarpe spaccate
nella piazza centrale, assedio
contro un capo-cecchino
schifoso, come tutti i capi in guerra.
Del fuoco e dei vetri di piazza,
una neve non più bianca,
ma grigia di noia,
nera d’affanno
e prossima al rosso.
La battaglia si vince solo intentandola.
La vittoria è un tramestio di nuvole
e lacrime spente
mentre il giallo-blu del vessillo
si scioglie
in un verde opprimente
che fa sognare nei prati
di qualche fiaba tremenda.
Radici immense
A Gian Mario Maulo
I poeti muoiono di notte
non visti,
e di giorno sono già morti.
L’alba sopraggiunge timida
quando la vita ormai se ne è andata
e i germogli, imperituri,
avanzano la loro crescita.
In silenzio parlano
tacendo righi e strofe pensate
ma le eco rotte risuonano
nei corridoi che conducono
a scheggiate porte serrate.
Quando muoiono, i ribes si inacidiscono
e le stelle si scrollano di dosso la polvere.
I poeti muoiono di notte,
non visti,
e di giorno sono già morti.
Nelle corolle di ciclamino la rugiada si gela
e il dolore si spezza in cristalli
di croci d’incipienti radioattivi.
I tormenti si sciolgono estasiati
e le umide mani del commiato
macerano urla sofferte
e poi scende la notte,
ed essi muoiono ancora.
Ogni volta che il buio riaffiora.
Nella magnolia
A Federico Garcia Lorca
Non delle acuminate folgori il colore
ma dei campi secchi, lucidi d’oro
slavati dal disprezzo alla vita
ora stinti e deformati dalla noia.
Non delle urla straziate il suono,
ruggente e inverecondo
ma dello scartocciar della foglia
del grillo che cerca la mimesi.
Non il lezzo pesto dell’asfissia
ma dell’acerbo nettare
di zagare leggiadre e di lune
che si spogliano timide alla notte.
Neppure l’oltraggio del trascinio
ma le carezze ricambiate dai nardi
le felci brulicanti a proteggere
e le untuose bacche di ginepro.
Non la poltiglia di odi nel cavo orale
ma i succhi di mirto e agave
le essenze di alloro e il pane
fragrante della vita di attimi.
Quando sfioro il viola acceso
che tinge il bianco estasiante
nella magnolia, parlo con te.
[1] Edita in AA.VV, Sulle orme di Christina di Svezia. Prima Ragunanza di Poesia, Caserta, ArteMuse Editrice, 2013.