Carmelo Consoli
Embajador - Italia
Nationality: 159
Email: consoli.carmelo@libero.it
Embajador - Italia
Nationality: 159
Email: consoli.carmelo@libero.it
Carmelo Consoli
Embajador de Poetas del Mundo - Italia
Carmelo Consoli è nato a Catania e vive a Firenze sua città di adozione dove ha ultimato i suoi studi presso la facoltà di Scienze politiche e relazioni internazionali “Cesare Alfieri”
-Poeta, saggista, critico letterario e d'arte, operatore umanitario
-Presidente della “Camerata dei Poeti di Firenze”
-Socio fondatore, vice presidente e presidente onorario di varie istituzioni culturali nazionali
-Membro di giuria e presidente onorario di molti premi letterari internazionali
-Autore di 14 raccolte di poesia pubblicate e tradotte in varie lingue
-Pluripremiato molte volte alla carriera e alla cultura -
-Moltissimi i riconoscimenti di prestigio ricevuti nei concorsi di poesia e saggistica come pure gli -scritti e gli interventi su di lui dai maggiori critici nazionali.-
-Presente nelle migliori antologie poetiche.
-Tradotto nelle lingue inglese, francese, rumena
Presente in “ Italian Poetry” sito che accoglie opere e profili dei maggiori poeti italiani, e pubblicato negli Stati Uniti su “Gradiva” di IPA( International poetry association).-
-Ha tradotto dal francese Prevert e Genet.
Ha partecipato ed è stato invitato da università e organismi internazionali a relazionare sul tema delle “Identity agonies” sul fine vita dell'esistenza umana.
-Si occupa anche di studi filosofici, religiosi, sociologici.
-Ha ideato e fondato la corrente filosofica, esistenziale dell' “Bellezza infinita”
D' incanti, di preghiere erano i giorni
Ti adoravo padre antico.
Solcavi i campi ombra lenta
e solenne nei chiarori dell'aurora,
mio eroe d'un tempo di falci al vento
e dorate semine nei solchi delle zolle.
Ti ascoltavo mentre parlavi alle tenere
foglie delle viti, chino sulla terra
a disegnare forme e innalzare canti
ai grappoli nati nel respiro di cieli limpidi,
farfalle maculate e fumide campagne.
D'incanti, di preghiere erano i giorni.
Persi nella trama bianca dei sentieri
andavamo nel chiuso mondo dei bagliori,
le fragranze cucite sulla pelle.
Tu il gigante che apriva il ventre delle piane
e sussurrava parole d'amore ad alberi e fronde,
io lo stupore di bambino, fiore tra i fiori,
tra i freschi tornanti della giovinezza.
E adesso non sai quanto mi mancano
le tue mani ruvide di mago tra i capelli,
gli occhi di cielo, quella voce che svelava
misteri e meraviglie di stagioni indenni dal dolore
mentre camminavamo mano nella mano
nell'arancio dei tramonti;
sconosciuta quell'ansia scura dei travagli
che montava lenta nel macero dei sogni.
Di miracoli e leggende mi narravi,
di come si moriva nel rinascere fragranze
ed io a bocca aperta appeso alla parola
che ammaliava di prodigi e promesse
mentre a sera i filari s'accendevano di lucciole
e la vita era tutta là in una gialla luce
di lumi e scintille che sbucava lontana
nel buio carico di stelle.
L'ultimo viaggio
Sarà verso il mare.
In piedi, come allora, scalpitando
nei calzoni corti aspetterò
quel treno tanto atteso.
Sbucherà dalle fronde degli aranci,
nella curva lieve e fumigata della piana.
Lo stesso sarà lo stupore, quello del fanciullo
che saliva col cuore in gola
nella promessa azzurra delle onde.
Nella carrozza della terza classe
io, il solo passeggero, nell'unico vagone
addobbato di zagare e limoni.
L'ultimo viaggio come il primo
dai campi ocra e oro alle marine di velluto.
Siederò senza pagare, senza valigia,
commosso appena e in apprensione
per la destinazione senza fine, il luogo ignoto
oltre i confini della fragile esistenza.
Mi accoglierà il capotreno
e sorridendomi con garbo con un cenno
mi dirà: “siamo pronti, possiamo andare”.
Parleremo un po' della mia lunga vita
un po' delle cose misteriose del domani.
Non saprà dirmi dove arriveremo
né quando e verso quale cielo sarà l'ascesa.
E così andremo, palmo a palmo alle fragranze,
senza fretta a passo d'uomo, a misura
di ulivi, vigne salmastre e fieri fichidindia,
con tutta l'aria dolce dei tramonti
che arrossano colli, campagne e radi casolari.
Sarà l'ultimo viaggio quello verso il mare.
Il segreto dei treni
Interi giorni a seguire il lampo dei treni,
rannicchiati nel giallo dei covoni,
intere notti presi da quell'oscura angoscia
di sapere dove finissero i binari
ingoiati dalle piane di granturco.
Un brivido di acciai, un'acre mistura
di convogli restava nell'aria dei limoni
a confondere i giochi, a sparigliare desideri
chiusi nelle controre, affidati alle comete.
Quali segreti ci portava l'urlo dei treni?
Chi erano quei volti che scorrevano come veloci
fotogrammi nel nero delle carrozze e dove
andavano così lontano dai gelsomini, dalle cicale?
Ci chiedevamo se un giorno anche noi
saremmo saliti su quei vagoni urlanti
lasciando cortili ombrosi, grida e amori
di fanciulli, se avremmo visto il mondo
che c'era dietro le colline e se poi era vero
che i treni solcassero città fumose,
terre di sudori e fatiche, se la vita di domani
era viaggio senza ritorno ai bianchi casolari,
vita, come dicevano, di emigranti
lontana dal profumo delle zagare.
Intanto svaniva la sottile figura dei convogli.
Il tempo ci poneva domande e congetture
di un futuro che era ombra inquieta tra i bagliori,
stupore e meraviglia sui nostri otto anni.
Ce ne stavamo insonni tra le stelle azzurrine
e gli oleandri mentre i treni
squarciavano i silenzi e i grandi
parlavano del nord, di grige fabbriche,
chiudevano valige di cartone e partivano,
avvolgendo con lo spago sogni e speranze.
Il bianco delle case
Ombre lente nella nebbia dei canali
andiamo e tu mi chiedi se vedo ancora
il bianco delle case, se salgo ai sentieri
di polvere e ghiaia dietro l'odore aspro dolce
dei limoni, nella placida calma della piana.
Ricordi l'illusione che fosse eterno il paese,
senza fine il cielo con le piccole porte
sulla strada, le tende azzurre a sventolare
nei vicoli stretti, l'unica piazza, l'unica fontana?
Ricordi le grida, le corse di noi ragazzi
tra l'erba e il frumento, le sfide da grandi
per un gioco, un tenero bacio come lusinga?
Mi chiedi se oggi nell'agonia degli anni,
nel grigio dei palazzi esiste ancora
quel mondo di fragranze, indenne dai dolori.
Lo sai. Altro è il tempo nostro,
altro questo vivere nel macero dei sogni.
Ma se guardo con occhi di fanciullo
al di là delle brume vedo il volo d'oro di farfalle
e calabroni, mi perdo tra bianchi gelsomini.
E lascio tra i muri di periferia le spoglie
d'una vita d' ansie e lotte, l'amarezza
di non essere stato quell'eroe a cui pensavo
per entrare nei tornanti di zagare d'agosto,
nelle aie serene della sera con il viso tra le stelle
ad ascoltare sinfonie di grilli, sognare
fuochi rossi di lucciole vaganti.
Ricordi il bianco delle case?
Quell'esistere lieve e ventoso?
Così sarà quel giorno che verrà:
un lontano salire nella controra dei muretti
verso la cima del paese noi soltanto e l'età felice.
Pantelleria
Lascia ancora una volta
che io ti sogni com'eri mia dolce Pantelleria
madre di assolati sentieri e odorosi silenzi
nel verde oro della terra:
un infinito perdersi di aranci, vigne, ulivi,
poche vele all'orizzonte, quattro casolari
e marine melodiose, uomini in pace
radi e chini alla semina tra dolci declivi.
Lasciami ancora il respiro
del fanciullo solitario perso tra i limoni,
figlio prediletto confuso tra gli aromi
prima che approdi l'ultima prua di una amara
processione e accosti un altro popolo
in cerca della sua Itaca di pace e libertà.
Tu non sei più l'isola segreta
dai bianchi gelsomini, la terra favolosa
di Demetra nascosta nel fitto delle zagare,
chiusa nel cuore suo aspro di capperi e ginestre.
Ed io oggi non sono quell'eroe audace e fiero
di una volta che correva tra scoscese mulattiere
e aride fiumare inseguendo mondi leggendari
e azzurrità d'orizzonti.
Abbandonata la nostra favola di luce,
ci uniamo adesso ai cori di dolore di anime
smarrite nel terrore, alla morte lasciata tra le onde.
E' tempo ormai di mescolare la fragranza
degli agrumi, la meraviglia delle piane
con lo sguardo smarrito dei migranti.
Mutata la dorata solitudine, di noi tramontate stelle,
in canto d'amore e d'accoglienza.